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Richard Dawkins, "L'illusione di Dio", riassunto
(troppo vecchio per rispondere)
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2008-03-05 13:02:02 UTC
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Richard Dawkins, "L'illusione di Dio" (I parte)

[Prima di leggere questa presentazione - necessariamente superficiale - del
libro di Richard Dawkins (o dopo averla letta), vi suggerisco di leggerne
alcuni estratti che sono stati tradotti sul blog di Maurizio Colucci]

Ci voleva proprio Richard Dawkins per fare il punto della situazione e
sferrare qualche colpo decisivo all'ipotesi di dio e alla pervicacia con cui
la religione cerca d'infiltrarsi ovunque. Nel suo ultimo libro, The God
Delusion (L'illusione di Dio), il biologo inglese rivolta come un guanto
tutte le possibili obiezioni e, forte della sua esperienza di scienziato e
delle accuse dei religiosi a cui negli anni ha dovuto rispondere, lo fa con
grande abilità logica - e, del resto, non ci si poteva aspettare altro da
uno come lui - e con verve da vero polemista. The God Delusion è sì un testo
che tiene alto il vessillo della razionalità - condannando l'indebito spazio
concesso e gli sconti concessi alle religioni nel dibattito pubblico -, ma
non è un testo arido. Tutt'al contrario: insieme con la discussione di
solidi argomenti logici, Dawkins fornisce anche una marea di dati,
puntellandosi con gli studi di altri scienziati, e numerosi aneddoti che
fanno del suo libro una lettura scorrevole e piacevole. In ogni caso, quando
si arriva all'ultima pagina, si ha la netta sensazione di essere più
intelligenti: l'autore ha fatto un po' da "levatrice" all'intelligenza - a
volte un po' sommersa, a volte assediata - del lettore in cerca di
concretezza e di logica.

Sin dall'inizio Richard Dawkins, per evitare quegli equivoci che sorgono
costantemente ogni volta che si parla di dio, definisce subito il senso da
attribuire a questa parola: "un'intelligenza sovrumana, sovrannaturale che
ha deliberatamente progettato e creato l'universo e tutto ciò che esso
contiene". Questo serve a fugare l'uso - fatto anche da alcuni scienziati
(tra i quali Albert

Einstein) - della parola "dio" in senso molto lato, tanto da indicare
genericamente la natura e le sue leggi: in questo caso, sostiene Dawkins, si
potrebbe parlare tutt'al più di panteismo. Ma non è questa la posizione
delle grandi religioni monoteistiche e non è questo il dio di cui esse
rivendicano l'esistenza e che, invece, il biologo vuole confutare.

Sgomberato il campo da questa ambiguità iniziale, Dawkins dedica la prima
metà del suo libro all'esame dell' "ipotesi di dio", passando prima in
rassegna le varie posizioni riguardo alla religione, dal politeismo al
monoteismo fino ad arrivare alla posizione degli agnostici. Agli agnostici
non riserva un trattamento di favore. In linea generale, la posizione di un
agnostico - in qualsiasi ambito - è quella di chi, non potendo affermare né
negare nulla di certo, si limita a sospendere il giudizio. Dawkins,
tuttavia, distingue tra un "agnosticismo temporaneo nella pratica", per il
quale il giudizio è solo momentaneamente sospeso. Il soggetto sa che a certe
domande esiste una risposta, che però non è ancora stata trovata. La
soluzione è continuare a indagare e studiare la realtà, fiduciosi che la
situazione, prima o poi, cambi. Poi c'è, invece, un "agnosticismo permanente
di principio", riservato a questioni per le quali non sarà mai possibile
avere risposta. Secondo Dawkins, l'ipotesi di dio rientra nella prima
categoria. Dio o esiste o non esiste: non può esservi una via di mezzo. In
questo senso è una questione scientifica: un giorno avremo una risposta
definitiva, ma per ora è già possibile fare qualche affermazione forte sulla
probabilità della sua inesistenza: "Non ci sono ragioni per considerare dio
immune da una riflessione nello spettro delle probabilità. E sicuramente non
esistono ragioni per supporre che, proprio perché non si può provare né
l'esistenza, né l'inesistenza di dio, la sua probabilità di esistere sia
esattamente il cinquanta per cento". Affrontata la questione
dell'agnosticismo, Dawkins passa a un'altra "teoria" che spesso viene
avanzata - non soltanto dai religiosi, ma anche da taluni scienziati - e che
lui definisce "NOMA", cioè "non overlapping magisteria" - i "magisteri che
non si sovrappongono". E' la tecnica con cui, per tirarsi fuori d'impiccio
ogni volta che si chiede alle religioni di fornire prove concrete
dell'esistenza di dio e della sicumera con cui i suoi interpreti impongono
la verità dei loro dogmi, si sostiene che scienza e religione si
occuperebbero di due ambiti che non si sovrappongono. In realtà, dice
Dawkins, non è così, perché "la presenza o l'assenza di una
super-intelligenza creativa è,

DNA che provano che Cristo non aveva un padre biologico?).
inequivocabilmente, una questione scientifica". Anzi, questa tecnica viene
usata esclusivamente perché non ci sono prove inconfutabili per sostenere
l'ipotesi di dio. Commenta infatti sarcasticamente l'autore che nel momento
in cui vi fosse la minima prova scientifica, gli apologeti della religione
sarebbero i primi a buttarla a mare (e fa questo esempio: che cosa
accadrebbe se si trovassero frammenti di

Dopodiché, Richard Dawkins ricapitola - con un certo gusto - i vari
argomenti che, in passato e in parte ancora oggi, sono stati elaborati a
sostegno dell'esistenza di dio, smontandoli uno per uno. Si parte dalle
"prove" classiche di Tommaso d'Aquino: il "motore non mosso", la "causa non
causata" e l' "argomento cosmologico" - che presuppongono, in modo del tutto
ingiustificato, che dio sia immune dal "regresso" (cioè se si stabilisce che
tutto può esser fatto risalire a una causa non si capisce per quale ragione
la stessa cosa non dovrebbe valere anche per dio), l' "argomento della
gradualità" - secondo il quale nel mondo le cose differiscono per gradi e ci
sono gradi perfezione o di bontà, che però possiamo giudicare solo
paragonandoli con un massimo, e questo massimo sarebbe dio (e Dawkins
commenta: "Si potrebbe anche dire che le persone differiscono per il loro
odore, ma noi possiamo fare un paragone solo riferendoci a un massimo
perfetto di odorosità. Perciò ci dev'essere un puzzone senza pari, e questo
lo chiamiamo dio") -, e infine l' "argomento teleologico" - o argomento del
"disegno". Di tutti gli argomenti, è quello ancora in auge ai giorni nostri
e si basa su un'analogia: ogni cosa che usiamo è stata progettata da
qualcuno, quindi anche l'universo è stato progettato da qualcuno e questo
qualcuno sarebbe dio. Peccato che questo argomento è stato distrutto dalle
scoperte di Darwin. Dopo gli argomenti di Tommaso d'Aquino, Dawkins elenca
altri argomenti aprioristici, come l' "argomento ontologico", formulato nel
1078 da Anselmo di Canterbury, che si risolve in un sofisma astratto: "E'
possibile concepire un essere perfetto rispetto al quale non si può
concepire nulla di più grande. Ma un essere che non esiste nel mondo reale è
per questo stesso fatto men che perfetto. C'è quindi una contraddizione e
allora dio deve esistere!". Purtroppo, però, il "trucco" sta nello stabilire
a priori che l'esistenza è più perfetta della non esistenza. Al riguardo,
Dawkins cita il "divertissement" di un filosofo australiano, Douglas
Gasking, che, impiegando gli stessi stratagemmi verbali, ha "dimostrato" che
dio non esiste.

di Pascal". In ogni caso, nessuno di questi argomenti è risolutivo: "Le
persone con un'inclinazione teologica sono spesso cronicamente incapaci di
distinguere che cosa è vero da ciò che esse vorrebbero fosse vero". (Per
sottolineare la vacuità delle dimostrazioni dell'esistenza di Dio, Dawkins
ne presenta alcune tratte da , ora accresciuto. La maggior parte sono,
ovviamente, una forma di satira, ma contengono tutte in nuce una verità:
nessuna è in grado di dimostrare nulla). Seguono poi, nell'ordine: l'
"argomento della bellezza" (l'universo è così bello che è impossibile che
non vi sia un dio), l' "argomento dell'esperienza personale" - che Dawkins
smonta mostrando che il cervello umano funziona come un formidabile
"software di simulazione"), l' "argomento degli scienziati stimati che
credono in dio", l' "argomento delle scritture" (nonostante le numerosissime
incongruenze che affliggono i testi cosiddetti sacri), per concludere con la
famosa "scommessa questo sito

Liquidati gli "argomenti" a favore dell'ipotesi di dio, nel capitolo
successivo - intitolato "Perché quasi certamente non c'è un dio" - Richard
Dawkins espone la tesi centrale del suo libro, che aveva già annunciato
all'inizio: "Qualsiasi intelligenza creativa, sufficientemente complessa da
poter progettare qualsiasi cosa, viene a esistere solo come prodotto finale
di un lungo processo di evoluzione graduale". A chi replica che le cose
complesse non possono essere "nate per caso", infatti, Dawkins replica che
la selezione naturale è una cosa completamente diversa dal caso e che il
darwinismo mostra tappe successive di complessità sempre crescente. La
selezione naturale, dunque, è l'alternativa alla creazione attraverso il
disegno di un'intelligenza divina. La selezione naturale è infatti un
processo di accumulazione, che serve a spezzare il problema
dell'improbabilità in frammenti più piccoli: ogni frammento è leggermente
improbabile, ma non in maniera proibitiva. Quando grandi quantità di questi
eventi leggermente improbabili si collegano in serie, il prodotto finale
appare molto improbabile - ma lo sarebbe solo se si postulasse che fosse
nato di colpo. Il creazionista, invece, non comprende questo fatto, perché
continua a trattare la nascita delle cose come un unico evento. Dawkins
ricorre alla similitudine del "monte improbabile": da una parte c'è uno
strapiombo, dal quale non è possibile saltare con un balzo sulla cima,
mentre dall'altra c'è un sentiero che, a poco a poco, sale verso la vetta. E
se l'evoluzione non è ancora in grado di spiegare tutto, lasciando dei
"buchi", questo

non significa che questi "buchi" debbano venire riempiti postulando
l'esistenza, indimostrata, di un dio - come fanno i creazionisti.
L'evoluzionismo darwiniano, perciò, funziona come una specie di "gru" per
raggiungere vette che altrimenti non potremmo raggiungere.

Stabilito che l'ipotesi di dio è quasi certamente falsa, Dawkins si chiede a
questo punto che origine abbia la religione e, soprattutto, perché sia
ancora tanto diffusa. A prima vista si direbbe che, partendo dal principio
darwiniano secondo cui ciò che non serve all'evoluzione a poco a poco viene
eliminato, la religione dovrebbe essere già scomparsa, perché rappresenta
uno spreco notevole. Che la religione dunque serva a qualcosa? Allora
bisogna determinare che cos'è questo "qualcosa". Dawkins però specifica che
secondo Darwin il beneficio non è ristretto ai geni del singolo organismo.
L'individuo che si osserva, infatti, potrebbe essere influenzato e
manipolato dai geni di un altro individuo, per esempio un parassita, e che
ciò che dal punto di vista del primo organismo potrebbe apparire uno spreco
è in realtà utile al secondo organismo. Il fatto che la religione sia
presente più o meno ovunque potrebbe significare che ha operato a beneficio
di qualcosa, anche se non siamo noi o i nostri geni. Anche se gli scienziati
trovassero un "gene di dio" - una propensione genetica alla religione - nel
cervello umano, lo scienziato darwiniano è comunque tenuto a scoprire il
processo di selezione naturale che ne ha favorito la sopravvivenza: "Perché
quei nostri antenati che avevano una tendenza genetica a sviluppare un
'centro di dio' sono sopravvissuti e hanno avuto più nipoti rispetto ai
rivali che non l'avevano?". Posto che i vantaggi diretti della religione -
la funzione di placebo o la funzione di consolazione - non sono abbastanza
forti per produrre questa selezione naturale, Dawkins avanza l'ipotesi che
la religione sia il sottoprodotto - o il "prodotto collaterale" - di
qualcos'altro, una qualche tendenza psicologica, che ha valore per la
sopravvivenza dell'uomo. Dawkins sostiene che il bambino deve credere e non
mettere in dubbio quello che gli dicono gli adulti per non mettere a
repentaglio la sua esistenza: "La selezione naturale costruisce il cervello
dei bambino con una tendenza a credere qualsiasi cosa i loro genitori o gli
adulti della tribù dicono loro. Questa obbedienza fiduciosa è preziosa per
la sopravvivenza. (...) Il rovescio della medaglia è però una credulità
servile. L'inevitabile sottoprodotto è la vulnerabilità all'infezione per
opera di 'virus mentali'". Poi, secondo Dawkins, entra in gioco anche un
altro

processo decisionale in circostanze pericolose o in situazioni sociali
cruciali, risparmiando tempo prezioso. E' questo ciò che un altro filosofo,
Daniel Dennett, ha definito "intentional stance" - "atteggiamento
intenzionale" - con cui attribuiamo agli altri una certa "intenzione" e in
base a ciò regoliamo il nostro comportamento e le nostre reazioni. Questo
"atteggiamento intenzionale", però, finisce per essere attribuito persino a
esseri inanimati (per esempio, una macchina che non funziona potrebbe
"avercela" con noi) e a farci trovare agenti - come, appunto, divinità -
dove non ce ne sono. elemento. Gli esseri umani hanno sviluppato dei
"moduli" per interpretare gli oggetti e, soprattutto, gli altri esseri che
li circondano. Poiché non è sempre immediatamente possibile verificare le
intenzioni di ciò che ci sta attorno, è utile per la nostra sopravvivenza
avere delle "scorciatoie" interpretative per accelerare il

Richard Dawkins, "L'illusione di Dio" (II parte)

Qui Dawkins reintroduce la sua "teoria del meme": il meme è - analogamente
al gene - l'unità minima di eredità culturare e rappresenta un replicatore
in grado di essere copiato e trasmesso di generazione in generazione. I
"memi" più adatti a sopravvivere vengono in qualche modo selezionati e si
trasmettono. In questo senso si può anche formulare una teoria memetica
della religione: alcuni memi sopravviverebbero per loro merito assoluto
(dove con ciò s'intende, darwinianamente, la loro capacità di sopravvivere e
trasmettersi, e non il loro contenuto intrinseco, che può anche non avere
alcun valore oggettivo) e sopravviverebbero in qualsiasi "complesso
memetico" - cioè in combinazione con qualsiasi meme (un meme di questo tipo
potrebbe essere: "sopravviverai alla tua morte"), mentre altri sopravvivono
perché sono compatibili con altri memi già presenti e numerosi nello stesso
gruppo (cioè sopravvivono solo in quanto parte dello stesso gruppo). Sono
questi che differenziano una religione dall'altra. Una religione o un'altra,
quindi - per esempio, il cattolicesimo romano e l'islam - evolve in parte
grazie a questo raggruppamento di memi che fiorisce in presenza di altri
membri dello stesso "memeplex". L'evoluzione delle religioni avviene spesso
in modo inconscio, anche se non è escluso l'intervento di persone che le
organizzano in un certo modo. Tuttavia ci sono alcuni esempi di religioni
esplicitamente progettate e create dal nulla, come Scientology. A
conclusione di questa analisi, Dawkins racconta dei cosiddetti "culti del
cargo", che si sono sviluppati nella Melanesia dell'Oceano Pacifico e in
Nuova Guinea, e che esemplificano la facilità con cui possono nascere certe
religioni, fornendo un modello della loro nascita dal nulla, della velocità
con cui il processo di origine fa perdere le sue tracce, di come culti
simili nascono su isole diverse (il che è

rivelatore della psicologia umana) e di come la nascita di questi culti sia,
in fondo, simile a quella del cristianesimo, che è l'evoluzione memetica di
uno dei tanti culti - l'unico sopravvissuto - nati intorno a una probabile
figura carismatica.

Nella seconda parte del libro, invece, Dawkins passa ad analizzare l'effetto
che le religioni hanno sulle attività umane, partendo dall'etica.
Innanzitutto confuta l'idea secondo la quale solo la religione - e quindi la
fede in un dio - può essere alla base di una vera moralità, sostenendo anzi
che se i principi etici che regolano il comportamento degli esseri umani non
hanno alcun fondamento nella religione. Infatti, i testi cosiddetti sacri
sono in sé troppo contraddittori per potere essere usati come fonte di
precetti morali. Per dimostrarlo, Dawkins passa in rassegna vari episodi
narrati nella Bibbia e conclude che alcuni di essi sono persino pericolosi -
si pensi per esempio all'episodio del sacrificio di Isacco. Se non è dunque
la religione all'origine del senso morale, questo da dove nasce? Anche in
questo caso, Dawkins cerca ragioni darwiniane che spieghino perché gli
individui sono altruisti: si va dal caso particolare dell'affinità genetica,
poi c'è il motivo della reciprocità, poi il beneficio di acquistare una
reputazione di generosità e gentilezza - che, oltretutto, porta a crearsi
una "pubblicità" autentica. Dawkins presenta anche molti studi e indagini
che mostrano come gli uomini basino le loro scelte e i loro comportamenti su
princìpi morali validi universalmente, frutto di un'evoluzione biologica. Il
punto è, si chiede Dawkins se "le persone religiose differiscano dagli atei
nelle loro intuizioni morali. Sicuramente, se deriviamo la nostra morale
dalla religione, dovrebbero differire. E invece sembra che non sia così" - e
non da ultimo, verrebbe da aggiungere, lo dimostrano il livore e la violenza
degli attacchi che Dawkins ha ricevuto da parte degli estremisti religiosi.
A chi sostiene, dostoevskianamente, che se dio non c'è, allora tutto è
consentito, Dawkins risponde con la frase, un po' cinica, di H.L. Mencken:
"La gente dice che ci serve la religione, quando in realtà intende che ci
serve la polizia". Per riassumere Dawkins afferma che non intende "mostrare
che non dovremmo ricavare i nostri princìpi morali dalle scritture (...). Ho
inteso dimostrare che noi (e questo include la maggior parte delle persone
religiose) di fatto non ricaviamo i nostri princìpi morali dalle
scritture" - malgrado tutto quello che i credenti sostengono, la loro
concezione morale di fondo è liberale. Per fortuna, verrebbe da aggiungere,
perché chi credesse fino alle estreme conseguenze a ciò che

che personaggi come Hitler e Stalin fossero "atei" - fatto ancora tutto da
verificare - Dawkins replica che "ciò che importa non è se Hitler o Stalin
fossero atei, ma se l'ateismo influenzi sistematicamente la gente a compiere
il male. Non c'è la minima prova che sia così". Mentre, invece, "perché
qualcuno andrebbe in guerra per amore di un'assenza di fede?" insegnano le
scritture finirebbe come quelli che si fanno saltare per aria per ammazzare
gli infedeli. Detto questo, è evidente che l'ateismo non è causa di maggiore
immoralità. A chi continua a portare come "argomento" decisivo il fatto

Ma perché tutta questa ostilità nei confronti della religione? A che cosa
serve opporsi - si chiede, retoricamente, Dawkins - quando basterebbe
ignorare le pretese dei credenti? La risposta che Dawkins fornisce è una
risposta da scienziato, la risposta di qualcuno che cerca una verità
confermata da prove oggettive, che studia teorie che possono essere
verificate in maniera empirica e che, quindi, vede i rischi insiti
nell'accettare una verità "per rivelazione": "Come scienziato sono ostile
alla religione fondamentalistica, perché corrompe attivamente l'impresa
scientifica. (...) La religione fondamentalistica è determinata a rovinare
l'educazione scientifica di numerose migliaia di giovani menti innocenti,
bene intenzionate e diligenti." Ma nemmeno la versione moderata delle
religioni è priva di colpe perché "rende il mondo sicuro per i
fondamentalismi insegnando ai bambini, sin dalla più tenera infanzia, che la
fede assoluta è una virtù". La religione "moderata", insomma, aiuta a creare
il clima di fede in cui fiorisce l'estremismo. Ciò che va criticato è dunque
la religione in sé, non l'estremismo, come se questo fosse una "perversione"
della "vera religione", perché infatti "come può esistere una perversione
della fede, se la fede, essendo priva di una giustificazione oggettiva, non
possiede uno standard dimostrabile da pervertire?". "L'alternativa (...) è
abbandonare il principio del rispetto automatico per la fede religiosa":
molti dei problemi di oggi sorgono proprio perché alla religione, nel
discorso pubblico, è concesso un credito che non si concede ad altre cose.
In un'intervista in cui parlava di questo libro e del fatto che molti si
sono scandalizzati per il titolo ("l'illusione di Dio"), Dawkins ha detto
che nessuno si sarebbe scandalizzato se avesse scritto un libro intitolato
"l'illusione del socialismo" o "l'illusione del monetarismo". Questo perché
alla religione - e all'ipotesi di dio - si garantisce ancora una certa aura
di intoccabilità.

Anche se si volesse ignorare il lato oscuro delle religioni - che comunque
Dawkins mette bene in evidenza quando descrive l'influsso pernicioso della
mentalità religiosa sulla percezione dell'omosessualità, su problemi come
eutanasia o ricerca sulle cellule staminali - resterebbe comunque la
violenza che le religioni esercitano nei confronti dell'infanzia: questo
manda Dawkins letteralmente su tutte le furie. La violenza non è soltanto
quella fisica o il lavaggio del cervello che nell'islam radicale viene fatto
ai bambini per convincerli che diventare "martiri della Jihad" sia una bella
cosa, ma è anche violenza psicologica derivante dall'imporre ai bambini
convinzioni sulle quali, per la loro giovane età, non possono avere
riflettuto abbastanza. L'educazione in base a princìpi religiosi può,
inoltre, creare scompensi psicologici che si trascineranno dietro anche
quando saranno adulti, impedendo loro di vivere una vita pienamente
soddisfacente (e, al riguardo, Dawkins riporta le testimonianze di molte
persone ferite da un'educazione religiosa e costrette a ricorrere all'aiuto
di psicoterapeuti in età adulta). Dovrebbe suscitare indignazione "l'idea
che battezzare un bambino inconsapevole, che non capisce, possa farlo
passare da una religione all'altra". Oggi, invece, l'indottrinamento dei
bambini è considerato normale, mentre invece dovrebbe farci inorridire. "La
nostra società, incluso il settore non-religioso, ha accettato l'idea
assurda per cui è normale e giusto indottrinare i bambini piccoli nella
religione dei loro genitori e affibbiareloro etichette religiose - 'bambino
cattolico', 'bambino protestante', 'bambino ebreo', 'bambino musulmano'
ecc. - mentre non ci sono etichette come: bambino conservatore, bambino
liberale, bambino repubblicano, bambino democratico. Per favore, per favore
risvegliate la vostra consapevolezza a questo proposito e protestate con
forza quando lo sentite. Un bambino non è un bambino cristiano, non è un
bambino musulmano, ma un figlio di genitori cristiani o un figlio di
genitori musulmani". Particolarmente grave, poi, è quando si accetta questo
indottrinamento in nome di un preteso "multiculturalismo": è inumano
"sacrificare qualcuno, specialmente i bambini sull'altare della 'diversità'
e della conservazione di varie tradizioni religiose".

In ogni caso, Dawkins è favorevole all'insegnamento, molto laico, della
storia delle religioni e riconosce che l'istruzione religiosa dovrebbe
essere parte dell'istruzione letteraria. La letteratura occidentale,
infatti, è giocoforza impastata di riferimenti biblici e, per comprenderla,
bisogna avere la conoscenza necessaria. Tuttavia, "lo

stesso vale per le leggende degli dèi greci e romani, e noi li studiamo
senza che ci venga chiesto di crederci". Bisognerebbe quindi applicare il
medesimo metodo anche alla religione - nel nostro caso, il cristianesimo.
Anche le tradizioni di origine religiosa possono essere coltivate, scrive
Dawkins, che spiega: "possiamo mantenere una fedeltà sentimentale alle
tradizioni culturali e letterarie dell'Ebraismo, dell'Anglicanesimo o
dell'Islam, e persino partecipare a rituali religiosi come matrimoni e
funerali, senza però accollarsi anche le credenze sovrannaturali che
storicamente hanno accompagnato queste tradizioni".

The God Delusion è molto più ricco di quanto possa lasciare intendere un
riassunto come il mio, sia pure abbastanza dettagliato, che potrebbe dare
l'impressione che si tratti d'un testo "astratto". E invece non è così: è un
libro pieno di dati, di riferimenti, di studi ed è anche per questo che è
godibile - senza contare poi l'ampia bibliografia che fornisce in fondo e
dalla quale sicuramente attingerò qualche spunto di lettura. Io qui,
insomma, leggo l'avventura dell'intelligenza umana che, pragmaticamente, si
applica alla realtà e cerca, a poco a poco, di decifrarla e non getta la
spugna compiendo il famigerato "salto" kierkegaardiano nella fede religiosa.
O, per dirlo con le parole di Dawkins in chiusura del testo: "Mi emoziona
vivere in un'epoca in cui l'umanità si sta spingendo verso i limiti della
conoscenza. Ancora meglio: forse scopriremo alla fine che non ci sono
limiti".
Nicola de Angeli
2008-03-05 20:27:31 UTC
Permalink
Post by unknown
[Prima di leggere questa presentazione - necessariamente superficiale - del
libro di Richard Dawkins (o dopo averla letta), vi suggerisco di leggerne
alcuni estratti che sono stati tradotti sul blog di Maurizio Colucci]
Beh, e leggerlo direttamente no? ;-)

Ciao
Nicola

--
"Striving for mediocrity in a world of excellence."

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